Premio Nazionale Elio Pagliarani
Il Premio Nazionale Elio Pagliarani ha lo scopo di promuovere e valorizzare, nello spirito sperimentale del poeta, la scrittura poetica e la ricerca letteraria che dimostrino qualità creative ed espressive originali nell'innovazione linguistica.
Siamo convinti che l’iniziativa abbia non solo una sua generica giustificazione culturale, ma anche una motivazione più profonda e peculiare. Ricordare un Maestro, si dice sempre in questi casi. A ricordarlo sono in tanti, per fortuna, nelle tre patrie che ebbe: Rimini, Milano e Roma. Ma parlare di un Magistero di Pagliarani, una volta tanto, è proprio il caso effettivo, la fattispecie reale al di là del luogo comune. Perché, di questo grande autore del nostro Novecento, una caratteristica ricordata da tutti coloro che ebbero la ventura di conoscerlo è appunto la mai sopita passione didattica. L’iniziativa pilota dei Laboratori di poesia, tenuti da Pagliarani a Roma fra anni Settanta e Ottanta – e dai quali passarono si può dire tutti gli autori che contano, e che hanno preso in seguito i più diversi indirizzi, nell’attuale panorama poetico della Capitale –, non è che la messa a frutto pratica, tardiva quanto fervida, di un’autentica passione pedagogica che è fra le componenti più originali e caratteristiche del suo temperamento («Vita ferro città pedagogia» suona un temibile inciso della Ragazza Carla, il capolavoro anni Cinquanta di Elio; e La musa pedagogica, all’inizio del decennio seguente, s’intitolava precoce un saggio su di lui del giovane Giovanni Raboni): dove, come nel campionario delle sue passioni più specificamente poetiche, Brecht andava a braccetto con Majakovskij. Quella sua lezione, ritrasmessa da quei primi e immediati uditori, s’è poi riverberata sui più giovani ancora, più o meno a distanza. Tanto che per gli scrittori di oggi, in versi e in prosa, risulta una delle poche spendibili.
Ricordare un Maestro, allora, significa per noi anzitutto selezionare e valorizzare – nel panorama delle creatività odierne – coloro che in qualche modo e per qualche verso ci paiano meglio raccogliere il suo testimone. Un altro inciso, da Lezione di fisica, suona: «perché l’opposizione agisca da opposizione e abbia i suoi testimoni». Di opposizione fu l’esistenza di Pagliarani, sempre: in quanto la sua parola – scabrosamente, aspramente contrastiva; talora sarcastica; sempre pervasa tuttavia dalla più umana e profonda «pietà oggettiva» – si oppose, sempre, all’andazzo (oggi più ammorbante che mai) di una comunicazione appiattita sul luogo comune, di una letteratura asservita al più facile consumo, di una poesia appagata del proprio ripiegamento autocommiseratorio.
La sua ricerca non si limitò, non si poteva limitare alla poesia. Autore drammatico egli stesso, originale anche nell’ambito dell’assidua frequentazione delle scene da parte degli scrittori della Neoavanguardia (la sua produzione teatrale, tuttora poco nota e scarsamente rappresentata, vedrà presto la luce finalmente raccolta in un volume Marsilio), negli anni Sessanta e Settanta Pagliarani fu Maestro, altresì, nel campo della critica teatrale (una produzione per lo più consegnata ai quotidiani «Avanti!» e «Paese Sera», nel 1972 solo parzialmente raccolta nel volume Il fiato dello spettatore, e della quale speriamo veda presto la luce un’edizione più ampia). Pagliarani era convinto che fosse proprio a teatro – dove la parola è pubblica per definizione: pensata e fruita come materia sonora, declamata a voce alta, incarnata nei corpi e nei gesti – che la scrittura possa ritrovare la sua originaria energia corporale e insieme, appunto, la sua scandalosa, flagrante capacità di opposizione. Il rinnovamento del linguaggio teatrale, in quel torno di tempo decisivo, vide in Pagliarani non solo un «testimone» ma un vero e proprio sobillatore.
Infine, il Premio che vogliamo porti il suo nome dovrà «testimoniare» di un’altra grande sua intuizione. Negli anni Ottanta e Novanta, lui che aveva collaborato a numerose storiche riviste e un paio ne aveva pure fondate: «Periodo ipotetico» negli anni Settanta e «Ritmica» nel decennio successivo –, diede vita a un esperimento radicalmente innovativo.
Proprio perché la dimensione acroamatica, pubblica e gestuale, della parola gli era così congeniale, Pagliarani capì che la pagina a stampa, quand’anche graficamente curata nei minimi dettagli, non era ormai più sufficiente a «testimoniarla». Ideò così la prima rivista in video, «Videor», che dedicò una serie di speciali ai più rilevanti performers italiani e stranieri e il cui archivio, in quelli che sono gli albori della documentazione audiovisiva, rappresenta oggi un piccolo tesoro. L’attenzione alla scienza e alla tecnica, così marcata nell’autore di Lezione di fisica, trovava così un campo di applicazione quanto mai concreto e tangibile, che ci appare oggi in una luce assolutamente pionieristica.
Il Premio che vogliamo intitolargli sarà patrimonio delle sue tre città e si articolerà dunque in quattro sezioni, che riflettono quattro campi di attività nei quali eccelse Elio Pagliarani. Naturalmente la poesia, e poi la drammaturgia, la critica teatrale e l’innovazione tecnologica in campo artistico e letterario. La speranza è che, col ricordare il suo esempio, sapremo andare in cerca dei nuovi talenti con almeno una parte della passione e della generosità con cui Pagliarani, in vita, seppe – quei nuovi talenti – riconoscerli e valorizzarli.
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